Si può viaggiare nel tempo? Credo di sì!
Non occorre scomodare tanta narrativa per
sostenerlo o ardite teorie scientifiche per dimostrarlo. Basta entrare in un
vecchio palazzo con gli stessi occhi con cui si affronta un viaggio in una nuova
terra.
Entrare in una vecchia casa è come
entrare all'improvviso in un'altra epoca: la disposizione di ogni mobile, di
ogni oggetto non è casuale ma testimonia i modi e i ritmi di una vita passata,
illustra in maniera minuziosa la vita domestica, la condizione sociale di una
famiglia e le trasformazioni nel corso del tempo.
Si fa presto a dire “casa vecchia” o
“rudere”, io ne sono convinto: qualsiasi rovina custodisce lo spirito di chi
l’ha abitata.
Varcando la soglia penso che se entro in
silenzio, in punta di piedi e con rispetto, sarò ricompensato.
Mi sento all’interno di un set
cinematografico: si gira uno di quei film che all’improvviso passa dal bianco e
nero al viraggio seppia e poi al colore.
Ed è proprio così: al mio transito le
mura, all’apparenza cadenti e sbiadite riprendono immediatamente tono,
indossando una luce calda, quasi aspettassero me, a destarle dal sonno e a strapparle
dalla penombra.
Mi aggiro lentamente tra le stanze e la
luce pian piano mi elenca nuovi ambienti. Il tempo non si è fermato: molti
oggetti sono ancora lì quasi a fotografare le abitudini o gli ultimi gesti di
chi le abitava. Una cravatta nera appesa al muro, ancora annodata, mi parla di
un conto pagato al destino, tutto intorno dispense aperte e mensole sulle quali
campeggiano vecchie suppellettili, travi bianche di calce.
Una scala in pietra mi conduce nel piano
nobile. Attraverso una porta semichiusa e ancora una volta il riverbero fiacco
della luce la fa da padrone: i riflessi su ciò che resta della carta da parati
mi svelano l’anima signorile di quella dimora.
Entro in quello che un tempo doveva
essere un salone, a destra due porte d’un azzurro sbiadito mi nascondono altre
stanze, pochi oggetti sparsi per terra, tracce evidenti di chi è entrato alla
ricerca di qualche tesoro, e il soffitto squarciato che spoglia le travi.
Davanti a me quello che cercavo: due
sedie vuote ai lati di una finestra e l’ultimo sole che filtra dalle lastre
opache.
Mi fermo davanti a quell’altare e penso:
“Adesso sì, sto attraversando il tempo”.
Io lo so che qualcuno è ancora seduto lì,
come una volta, ad aspettare un figlio che non torna, a placare un dolore, a
misurare il tempo col respiro, a sgranare un rosario o semplicemente a rubare
al giorno un ultimo raggio di sole.