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sabato 8 febbraio 2014

VIAGGIO NEL TEMPO....


 
Si può viaggiare nel tempo? Credo di sì!

Non occorre scomodare tanta narrativa per sostenerlo o ardite teorie scientifiche per dimostrarlo. Basta entrare in un vecchio palazzo con gli stessi occhi con cui si affronta un viaggio in una nuova terra.

Entrare in una vecchia casa è come entrare all'improvviso in un'altra epoca: la disposizione di ogni mobile, di ogni oggetto non è casuale ma testimonia i modi e i ritmi di una vita passata, illustra in maniera minuziosa la vita domestica, la condizione sociale di una famiglia e le trasformazioni nel corso del tempo.

Si fa presto a dire “casa vecchia” o “rudere”, io ne sono convinto: qualsiasi rovina custodisce lo spirito di chi l’ha abitata.

Varcando la soglia penso che se entro in silenzio, in punta di piedi e con rispetto, sarò ricompensato.

Mi sento all’interno di un set cinematografico: si gira uno di quei film che all’improvviso passa dal bianco e nero al viraggio seppia e poi al colore.

Ed è proprio così: al mio transito le mura, all’apparenza cadenti e sbiadite riprendono immediatamente tono, indossando una luce calda, quasi aspettassero me, a destarle dal sonno e a strapparle dalla penombra.

Mi aggiro lentamente tra le stanze e la luce pian piano mi elenca nuovi ambienti. Il tempo non si è fermato: molti oggetti sono ancora lì quasi a fotografare le abitudini o gli ultimi gesti di chi le abitava. Una cravatta nera appesa al muro, ancora annodata, mi parla di un conto pagato al destino, tutto intorno dispense aperte e mensole sulle quali campeggiano vecchie suppellettili, travi bianche di calce.

Una scala in pietra mi conduce nel piano nobile. Attraverso una porta semichiusa e ancora una volta il riverbero fiacco della luce la fa da padrone: i riflessi su ciò che resta della carta da parati mi svelano l’anima signorile di quella dimora.

Entro in quello che un tempo doveva essere un salone, a destra due porte d’un azzurro sbiadito mi nascondono altre stanze, pochi oggetti sparsi per terra, tracce evidenti di chi è entrato alla ricerca di qualche tesoro, e il soffitto squarciato che spoglia le travi.

Davanti a me quello che cercavo: due sedie vuote ai lati di una finestra e l’ultimo sole che filtra dalle lastre opache.

Mi fermo davanti a quell’altare e penso: “Adesso sì, sto attraversando il tempo”.

Io lo so che qualcuno è ancora seduto lì, come una volta, ad aspettare un figlio che non torna, a placare un dolore, a misurare il tempo col respiro, a sgranare un rosario o semplicemente a rubare al giorno un ultimo raggio di sole.

 

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